Ordinanza n. 436 del 1991

 

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ORDINANZA N. 436

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                  Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 409, quarto comma, e 554 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 407, terzo comma, dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa l'8 aprile 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Livorno nel procedimento penale relativo alla morte di Busti Marina ed altra, ordinanza iscritta al n. 381 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 6 novembre 1991 il Giudice relatore Giuliano Vassalli;

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Livorno, con ordinanza dell'8 aprile 1991, ha sollevato, in riferimento all'art. 112 della Costituzione, questione di legittimità degli artt. 409, quarto comma, e 554 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 407, terzo comma, dello stesso codice, nella parte in cui non prevedono che il giudice per le indagini preliminari presso la pretura circondariale, di fronte ad una richiesta di archiviazione avanzata dopo il decorso del termine per le indagini, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indichi con ordinanza al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il loro compimento;

e che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;

Considerato che il giudice a quo muove dall'assunto che la prescrizione contenuta nell'art. 407, terzo comma, del codice di procedura penale, non soltanto precluderebbe l'utilizzazione degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine ma impedirebbe al giudice di adottare la procedura prevista dall'art. 409, quarto comma, dello stesso codice e cioè di indicare, a seguito dell'udienza fissata a norma del secondo comma di tale articolo, le ulteriori indagini ritenute necessarie, un'indicazione che risulterebbe priva di senso non potendo comunque il giudice utilizzare i relativi atti;

che, peraltro, il detto assunto si rivela erroneo perché, se il decorso del termine per il compimento delle indagini preliminari non determina la decadenza del pubblico ministero dal potere di formulare le sue richieste - come lo stesso giudice a quo mostra di ritenere allorché prospetta l'alternativa "fra l'archiviazione e la richiesta al P.M. di formulare l'imputazione", alternativa che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 445 del 1990, "ha riconosciuto non coerente con il principio di massima semplificazione dettato dalla legge delega per il procedimento pretorile, comportando un innegabile appesantimento delle indagini" - tutto ciò sta a significare che l'unica attività colpita dalla inutilizzabilità è quella d'indagine compiuta oltre il termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice (v. anche art. 406, ultimo comma);

che, di conseguenza, una volta formulate le richieste, la disciplina dei termini stabilita dagli artt. 405, 406 e 407 del codice di procedura penale non ha più modo di operare, risultando tale disciplina in funzione dell'attività d'indagine compiuta d'iniziativa del pubblico ministero, assoggettata al controllo del giudice quanto all'osservanza dei termini stabiliti dalla legge o prorogati;

che la stessa formulazione letterale dell'art. 409, quarto comma, nel riservare al giudice il potere di fissare "il termine indispensabile" per il compimento delle ulteriori indagini, postula con evidenza che al rigoroso meccanismo legale che predetermina la durata delle indagini preliminari, viene a sostituirsi una "flessibile" delibazione giurisdizionale volta a calibrare il termine stesso in funzione della relativa indispensabilità al compimento di quelle ulteriori indagini che il medesimo giudice è chiamato ad indicare, sicché nessuna interferenza può stabilirsi tra la durata complessiva delle indagini svolte prima della richiesta di archiviazione e il "termine" fissato dal giudice;

che una simile interpretazione, oltre che fondarsi su una corretta ricostruzione sistematica dei rapporti fra attività di indagine del pubblico ministero ed attività di controllo sui risultati delle indagini ad opera del giudice, trova una significativa conferma nel testo della relazione governativa al decreto legislativo 7 dicembre 1990, n. 369 (Ulteriori prolungamenti dei termini delle indagini preliminari in regime transitorio), ove si precisa che la disciplina codicistica "sanziona a pena di inutilizzabilità l'attività di indagine proseguita oltre i termini di legge (art. 407 comma 3) ma, se si esclude l'avocazione, non prevede alcuna conseguenza processuale per il caso in cui il pubblico ministero, contravvenendo alla regola posta dall'art. 405 comma 2 c.p.p., abbia formulato le sue richieste in ordine all'azione penale oltre i detti termini";

e che, quindi, risultando erroneo il presupposto alla base della proposta censura, deve dichiararsi la manifesta infondatezza della questione;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 409, quarto comma, e 554 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 407 dello stesso codice, sollevata, in riferimento all'art. 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Livorno con ordinanza dell'8 aprile 1991.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 27 novembre 1991.